Servizi per l'integrazione

 

Attività

Per i cittadini stranieri la Cooperativa offre i servizi di mediazione interculturale, sostegno psicologico e sostegno linguistico attraverso numerosi progetti oppure attraverso Convenzioni stipulate con Enti territoriali come la Prefettura della Spezia.

Per alcuni anni (2015-2019) la Cooperativa ha offerto i suoi servizi per l’Integrazione per la maggior parte dei Centri di Accoglienza per Richiedenti Protezione Internazionale collocati nella Provincia della Spezia e tutt’ora continua a offrire questi servizi nei Centri di Accoglienza che ha direttamente in gestione.

Questa grande esperienza maturata negli anni ha permesso al nostro personale di unire alla formazione e alle competenze teoriche importanti competenze esperienziali maturate sul campo. La competenze e l’esperienza hanno consentito al nostro personale di diventare dei veri professionisti e dei punti di riferimento per tutti gli stranieri risiedenti sul nostro territorio.

Ambiti

 

Dell’importanza di mediatori,
di costruttori di ponti,
saltatori di muri,
esploratori di frontiere”.

A. Langer

Il mediatore interculturale all’interno del Centro di Accoglienza è la figura cardine cui fanno riferimento tutte le altre professionalità coinvolte (psicologi, insegnanti di lingua, antropologi) per la sua specifica qualità di essere appunto mediatore, del suo porsi in mezzo, stare “tra” attivamente, che è possibile sia grazie alle conoscenze linguistiche e culturali ma soprattutto grazie alla sua capacità e al coraggio di assumersi la responsabilità di un ruolo ambivalente, mediano, per facilitare il dialogo e la comprensione tra le parti.

Nel Centro di Accoglienza il mediatore interculturale svolge il suo lavoro facilitando la comunicazione tra:

  • i vari utenti del Centro di Accoglienza, provenienti da diversi paesi che si trovano costretti a una convivenza forzata, spesso in situazioni di sovraffollamento, per un periodo di tempo che a volte arriva a durare diversi anni;

  • gli utenti e l’Ente Gestore o gli operatori del Centro di Accoglienza, esplicitando diritti e doveri delle due parti, i comportamenti scorretti sanzionabili e i regolamenti da rispettare all’interno del CAS;

  • gli utenti e lo psicologo o l’insegnante di lingua esplicitando la funzione di queste due figure agli utenti che non ne hanno una conoscenza pregressa, motivando gli utenti ad apprendere la lingua, a frequentare la scuola e a crearsi un progetto di vita;

  • gli utenti e i vari Enti con cui entrano in contatto attraverso un lavoro di orientamento ai servizi del territorio (Questura, Prefettura, CPIA, Centro per l’impiego, Servizi sanitari, associazioni di volontariato, Enti di formazione, associazioni sportive).

  • Il mediatore interculturale inoltre segue il Richiedente Protezione Internazionale in tutte le fasi del suo soggiorno nel Centro di Accoglienza e del suo percorso di ridefinizione identitaria: dalla prima soddisfazione dei bisogni fisiologici – mangiare, dormire e cure sanitarie – alle pratiche amministrative e burocratiche per l’ottenimento dello status di rifugiato fino al recupero di se stessi come persone, persone con un nome, un’identità, una storia e delle radici che devono essere recuperate e con cui bisogna riconciliarsi.

“Io piango per la mia città che non esiste più, per un popolo
che soffre, per una terra distrutta, per gli uomini impazziti,
per gli animali morti. Io piango perché gli unici suoni che
sento sono: i fischi di pallottole, scoppi di bombe e colpi
di bazooka che si alternano a grida, singhiozzi, pianti e
litanie di morte. Io piango perché non ho un futuro, io
piango perché l’odore della morte mi fa paura, io piango
perché non voglio che la mia speranza muoia”.

S. R. Fazel
Profuga somala e scrittrice

All’interno dei Centri di Accoglienza sono davvero numerosi i richiedenti asilo che riportano evidenti sintomi di malessere psichico. Il ruolo dell’etno-psicologo si rivela essenziale per riconoscere i sintomi di tali disturbi e iniziare da subito un percorso terapeutico.

L’attuale fenomeno migratorio dei Richiedenti Protezione Internazionale vede arrivare in Italia soprattutto giovani uomini soli dalla rotta libica ma non sono rari i momenti di emergenza in cui questo scenario cambia totalmente. Abbiamo visto negli ultimi anni arrivare profughi in seguito a due grandi emergenze: l’Afghanistan e l’Ucraina. In entrambi i casi ad arrivare erano famiglie con bambini, o famiglie monoparentali (soprattutto donne sole nel caso dell’Ucraina) con bambini.

Questi profughi, tra i quali sono presenti anche numerosi minori, si trovano sradicati dal loro contesto sociale e territoriale, spesso in completa solitudine, senza la sicurezza di un appoggio famigliare o di un contesto culturale conosciuto in cui muoversi.

Buona parte di questi migranti manifesta un forte disagio psichico e in molti di loro si rilevano segni evidenti di ansia, depressione e del disturbo da stress post-traumatico, termine col quale in psicologia clinica ci si riferisce a un ampio insieme di sintomi che include pensieri e flashback intrusivi, “colpa del sopravvissuto” e stati dissociativi o di paralisi psichica.
Non dobbiamo dimenticare che tra i richiedenti asilo ci sono persone che sono state costrette ad abbandonare il proprio paese per sottrarsi a persecuzioni, che fuggono da situazioni di violenza determinate da guerre o conflitti civili oppure che hanno vissuto esperienze traumatiche durante il percorso migratorio, un percorso spesso pericoloso che a volte comporta situazioni di sfruttamento, violenze e aggressioni di varia natura compresa quella sessuale, malnutrizione, impossibilità di ricevere cure mediche, umiliazione psicofisica, detenzione, respingimenti.

Questi vissuti hanno un impatto devastante sulle persone che li hanno subìti e i costi sociali di questi traumi, quando non vengono affrontati, sono altissimi. Inoltre i comportamenti legati a traumi spesso vengono fraintesi dai non addetti ai lavori e portano, in questo caso, a un peggioramento della situazione del migrante.

Nel rilevamento dei sintomi, nella diagnosi e nella successiva terapia per la rielaborazione degli eventi traumatici il supporto psicologico ed etno-psicologico si rivela imprescindibile.

Lo psicologo inoltre si occupa di fornire il sostegno psicologico necessario a superare i lunghissimi tempi di attesa che il richiedente asilo passa nel Centro di Accoglienza in attesa della Commissione Territoriale per la richiesta di asilo politico e lo stress connesso all’audizione per la stessa.

Insieme al mediatore interculturale, lo psicologo sostiene il percorso di integrazione, favorendo il superamento delle barriere culturali e supportando il sorgere di relazioni solidali e di legami di amicizia; rafforza l’autostima, accrescendo la motivazione, la sicurezza di sé e il benessere psicologico.

I nostri psicologi si confrontano abitualmente con l’utenza straniera e operano in stretta sinergia con gli antropologi e con i mediatori interculturali cosicché, per ogni percorso attivato, possano intervenire con metodologie adeguate: dai colloqui individuali all’analisi transdisciplinare e transculturale del problema, dai legami tra le caratteristiche individuali e personali dell’utente e il suo modo di rappresentare la sofferenza, la sua cultura specifica e le altre culture.

Maestro non è chi sempre insegna,
ma chi d’improvviso apprende.”

J. G. Rosa

I nostri corsi sono destinati a stranieri provenienti da ogni parte del mondo, qualunque sia la loro età e la loro provenienza, qualunque sia la loro madrelingua e il loro alfabeto.

C’è chi conosce già l’italiano e vuole migliorarlo e chi invece deve fare ancora tanta strada. C’è chi conosce l’alfabeto e chi deve ancora conquistarlo. C’è chi non sa cos’è il quaderno o come si usa la matita e chi parla e scrive fluentemente in francese o in inglese.

Incontrarsi. Salutarsi. Sorridersi. Le nostre lezioni cominciano sempre nello stesso modo. Nelle nostre classi cerchiamo l’armonia, cerchiamo l’amicizia. Accogliamo e veniamo accolti. Lavoriamo fianco a fianco con i nostri studenti, non diamo voti né giudizi. Lavoriamo per creare un ambiente rilassato e cooperativo, non competitivo o ansioso. Siamo facilitatori: cerchiamo di creare le condizioni che facilitino l’apprendimento.

Quando entriamo in un centro di accoglienza, come prima cosa facciamo un breve colloquio con i ragazzi e, a seconda del loro livello di scolarizzazione, dividiamo i gruppi classe. Seguiamo i livelli del QCER (Quadro comune europeo di riferimento per le lingue) eccetto per gli analfabeti ovvero chi non sa né leggere né scrivere in nessuna lingua. A loro dedichiamo una cura particolare, offrendo percorsi mirati allo sviluppo dell’oralità e poi, in un secondo tempo, percorsi ludici e pratici per accedere al mondo della scrittura che finora li aveva esclusi.

Abbiamo competenze linguistiche e glottodidattiche, usiamo materiali specifici ma non siamo schiavi del programma. Lavoriamo senza pensare a scadenze e valutazioni ma mettendo sempre al centro lo studente, i suoi bisogni, i suoi desideri, le sue preoccupazioni e le sue molte domande.

Usiamo un approccio comunicativo proponendo argomenti e attività che per i nostri studenti siano spendibili nella realtà quotidiana (andare dal medico, richiedere i documenti, la ricerca del lavoro ecc.) simulando situazioni reali in classe che li stimolino a parlare e a interagire.
Usiamo un approccio ludico e cooperativo in cui il gioco e l’apprendimento tra pari abbiano sempre un posto di rilievo poiché è risaputo che se dimentichiamo di stare imparando… impariamo meglio.

Siamo insegnanti e, etimologicamente parlando, cerchiamo di “lasciare il segno” nei nostri studenti, cerchiamo di lasciargli un metodo di approccio alla realtà e alla conoscenza che li conduca all’autonomia dell’apprendimento.
Siamo guide: forniamo loro una bussola per orientarsi in un mondo molto diverso da quello che conoscevano finora.
Cerchiamo di stimolare in loro un confronto interculturale poiché non insegniamo solamente una lingua ma portiamo con noi anche un modo di vita socio-culturale.

Per i richiedenti asilo spesso il contatto con l’italiano appreso a scuola è un contatto “forzato”. Il leitmotiv che da insegnanti rivolgiamo spesso ai nostri studenti: “se non vai a scuola non trovi lavoro” deve essere spiegato e mediato a livello interculturale perché non corrisponde alla loro esperienza di vita in cui la lingua si impara per strada, nel mondo e non certo a scuola. Andare a scuola probabilmente nelle loro culture non è necessario per trovare un lavoro e potersi orientare nel mondo e in alcune società la scrittura non è necessaria ma solo una possibilità. È solo grazie al lavoro in team con i nostri mediatori che possiamo avviare un percorso di mediazione interculturale su questo tema che faciliti il contatto tra il richiedente asilo e il corso di lingua italiana.

In questo modo la scuola e il corso di lingua possono diventare davvero gli strumenti per un’integrazione più efficace, per socializzare, per imparare una nuova cultura e per raccontare e condividere la propria identità e la propria storia e trovare finalmente il proprio posto nel mondo.

Contatti

 

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